2. ''Ho visto un fantasma!''

Iwata:

Ora, ovviamente oggi siamo qui per parlare di Project Zero 2: Wii Edition, ma prima di andare avanti muoio dalla curiosità di chiedervi una cosa.

Kikuchi/Shibata:

Va bene.

Iwata:

Volevo solo chiedervi qual è il vostro approccio al processo di sviluppo e come trascorrete di norma le vostre giornate, visto che siete i creatori di una serie horror che dura da molto tempo.

Tutti:

(ridono)

Iwata:

Passate la giornata a guardare film horror e a cercare nuovi modi per spaventare la gente? Analizzate continuamente i motivi per cui alcune cose risultino terrificanti, cercando di capire come potrebbero adattarsi al contesto dei videogame? È un argomento che per me ha un fascino irresistibile.

Kikuchi:

Beh, direi che ognuno di noi ha il suo approccio. Io e Shibata-san siamo molto diversi. Anzi, a dire la verità a me le cose spaventose non piacciono molto.

Iwata:

Che intende dire? Sono dieci anni che realizza giochi horror!

Kikuchi:

Non mi fraintenda: a volte anch’io sento il desiderio di sperimentare la paura, ad esempio andando nel tunnel degli orrori di un parco dei divertimenti o guardando un film horror. Ma alla fine mi ritrovo sempre a pensare: “Aiuto, è terrificante!”. L’horror mi affascina, ma ogni volta mi spavento alla follia.

Iwata:

Quindi non è esattamente un appassionato del genere.

Kikuchi:

Esatto. O almeno non lo ero dieci anni fa, quando ho iniziato a lavorare alla serie Project Zero. Da quel momento il mio modo di vedere le cose è profondamente cambiato.

Iwata:

In che modo?

Kikuchi:

Ho iniziato a chiedermi per quale motivo determinate cose facessero paura, e mi sono messo ad analizzarle con calma. Magari guardavo le stesse scene centinaia di volte e pensavo, ad esempio: “Qui le riprese sono molto efficaci”. Probabilmente pensavo, a livello inconscio, a come poter usare questi elementi nei videogiochi.

Iwata Asks
Iwata:

Se prima, quindi, tendeva a evitare le emozioni horror, ora era diventato un attento studioso delle ragioni per cui elementi specifici potessero essere così terrificanti.

Kikuchi:

Proprio così. Ma continuavo ad avere un’avversione istintiva verso l’ignoto e i fenomeni inspiegabili, quindi ero ancora facilmente impressionabile. Ricordo che, quando volevo andare in una casa degli orrori per fare ricerche in vista di questo progetto, invitavo Osawa-san e Izuno-san a venire con me...

Iwata:

... Che non sono proprio i tipi più coraggiosi al mondo! (ride)

Kikuchi:

È vero! Andare in una casa degli orrori insieme a loro significava stare tutto il tempo a curiosare in giro, per analizzare i meccanismi della struttura. Dovevamo essere i visitatori più fastidiosi mai visti in un parco dei divertimenti!

Iwata:

Un vero e proprio incubo! (ride)

Kikuchi:

Io ero l’unico dei tre a essere relativamente spaventato dai mostri della casa degli orrori. Mi piaceva osservare le cose con occhio analitico, ma le prime esperienze continuavano ad avere su di me un impatto piuttosto forte. Sentivo ancora una certa paura.

Iwata:

In realtà esistono molte persone che affermano di non apprezzare le cose spaventose ma che comunque non esitano a sperimentarle. Magari si ritrovano a urlare come disperate, ma allo stesso tempo si divertono molto. È davvero curioso come la gente dica una cosa e faccia l’esatto contrario.

Kikuchi:

Penso di essere esattamente così! (ride) Il mio ruolo, quando ci dedichiamo a un nuovo progetto, è fare da cavia. Indosso le cuffie e provo il gioco a tarda notte: se al culmine della tensione mi ritrovo a sobbalzare sulla sedia, il gioco funziona.

Iwata:

Certo. È naturale sobbalzare sulla sedia quando si rimane scioccati o si ha un forte spavento. È una reazione istintiva, no?

Kikuchi:

Sì, ed è qualcosa che condividiamo tutti, indipendentemente dal nostro paese di origine. Una volta ero in compagnia di alcuni colleghi americani che provavano il gioco, e mi sembrava di essere in un cartone animato. Ognuno di loro saltava letteralmente sulla sedia!

Iwata:

È una reazione che avviene solo quando si è realmente sorpresi.

Kikuchi:

Dopo il momento di shock i miei colleghi si mettevano a ridere, e dicevano cose del tipo: “In quel punto lì mi sono spaventato a morte!”. (ride) Da quell’esperienza ho capito che, indipendentemente dal nostro paese di origine e dalla lingua che parliamo, la reazione al terrore e il senso di sollievo che si avverte quando il pericolo è passato sono sempre gli stessi.

Iwata:

Il fatto che ognuno di noi si metta a ridere subito dopo aver vissuto un attimo di terrore o di sorpresa è molto interessante. È un sentimento alquanto curioso.

Kikuchi:

Sì, lo è davvero. Credo che, a livello emotivo, la paura e il riso siano molto affini. Sono reazioni di riflesso, e credo che abbiano vari aspetti in comune.

Iwata:

Passiamo a lei, Shibata-san. Si definirebbe un appassionato del genere horror?

Shibata:

Assolutamente sì. Guardo molti film horror, e cerco sempre di valutare se un horror è “fatto bene”, per così dire.

Iwata:

Visto che sembra avere delle teorie molto precise, qual è secondo lei l’elemento più importante del genere horror?

Shibata:

Beh, è ciò che Kikuchi-san ha menzionato durante l’intervista su Spirit Camera: le memorie maledette. In quell’occasione avete parlato dell’importanza di stimolare l’immaginazione dei giocatori. Indipendentemente dal processo di sviluppo, dalla direzione che il gioco deve prendere o dal tipo di grafica da usare, il terrore puro nasce dentro la tua testa. Ecco perché, a volte, la trama di un film tratto da un libro non fa paura quanto la storia originale.

Iwata Asks
Iwata:

La scelta di mostrare qualcosa in modo chiaro spesso riduce notevolmente l’effetto horror.

Shibata:

E i giocatori avvertono un curioso senso di sollievo: “Ah, eccolo lì, alla fine!”. (ride)

Iwata:

È vero! (ride)

Shibata:

Ciò che spaventa di più è non sapere cosa ti aspetta. Quando si conosce la vera natura di qualcosa, il tipo di paura che si avverte è completamente diverso.

Iwata:

È per questo che Alien6, ad esempio, è un film assolutamente terrificante nella prima parte, prima che appaia il mostro. 6 Alien: film di fantascienza americano, uscito nel 1979, che narra dell’incontro tra alcuni esseri umani in missione spaziale e una forma di vita aliena.

Shibata:

Esattamente. Credo che la paura che nasce dall’immaginazione sia ben più profonda, e che rimanga addosso più a lungo. È stato il desiderio di ricreare in modo efficace questo tipo di paura in un videogioco a portarci allo sviluppo di Project Zero. E poi, beh, c’è un'altra cosa... Mi è capitato di vedere dei fantasmi.

Iwata:

Cosa?! Ha davvero visto dei fantasmi?

Shibata:

Sì. E ho sentito di voler riprodurre quelle esperienze in un gioco: le sensazioni che si provano quando ci si aspetta che possa apparire uno spirito, gli strani suoni che si sentono quando ci si trova davanti a una strana presenza. Volevo che tutti coloro che avevano davvero visto un fantasma potessero dire, dopo aver provato il gioco: “Ecco, sì, è proprio così!”.

Iwata:

Così quelle esperienze reali l’hanno portata a immergersi sempre più profondamente nel mondo horror.

Shibata:

Da bambino vedevo un sacco di fantasmi. È per questo che non riuscivo a guardare i film dell’orrore: erano troppo angoscianti. Quando ho smesso di vedere i fantasmi ho iniziato a guardare i film horror, e mi sono sentito curiosamente nostalgico.

Iwata:

Nostalgico? Non spaventato?

Shibata:

Pensavo “Ah, questo mi ricorda come mi sentivo!”. (ride) Voglio dire, da bambino trovavo queste esperienze assolutamente terrificanti, ma oggi riesco anche a godermi un film dell’orrore come opera d’arte. I giochi horror che ho sviluppato sono nati dal desiderio di sfruttare le mie esperienze personali.